I Custodi del Tetto
La nostra casa era un’eredità dell’era sovietica: muri spessi di mattoni, soffitti di legno, un tetto alto e pesante che sembrava voler proteggere — o nascondere — qualcosa. Fin dal primo giorno, avevamo la sensazione che avesse un volto segreto, un mistero taciuto dietro le sue pareti. Ma mai avrei immaginato che il suo segreto più profondo si celasse proprio sopra di noi, nella soffitta.
Per anni ci siamo abituati a rumori strani. All’inizio li attribuivamo al legno che scricchiolava o al canto dei passeri. Ma d’estate i suoni cambiavano: diventavano un fruscio inquietante, una sinfonia che faceva accelerare il battito del cuore. A volte ero certa che qualcuno camminasse sopra le nostre teste. Mio marito cercava di rassicurarmi:

— Sono solo topi, o uccelli… niente di più.
Ma io sapevo che si sbagliava.
Un giorno decisi di scoprire la verità. Presi una torcia, una scala, e insieme a lui aprii la botola che portava al sottotetto. Un’ondata d’aria fredda e umida ci investì, portando con sé un odore di terra antica.
Quando la luce della torcia squarciò l’oscurità, il respiro mi si fermò: negli angoli, appesi alle travi, centinaia di piccoli corpi rosa pendevano immobili.

Per un attimo sembrarono bambole dimenticate… poi si mossero.
Tremando, strinsi la mano di mio marito.
Eravamo davanti a una colonia di pipistrelli appena nati. Centinaia, forse migliaia, appesi alle ali delle loro madri, palpitanti nell’aria fredda. Era una visione bellissima e spaventosa allo stesso tempo.
Feci un passo avanti. I loro squittii si fusero in un coro inquieto. Le assi scricchiolarono sotto di noi, e la colonia prese vita. Mio marito mi afferrò per il braccio, temendo un attacco. Ma i pipistrelli non volarono via.
Ci guardavano.
Con i loro occhi neri e lucenti — e non era solo un riflesso. Sembrava che ci osservassero con consapevolezza, come se si aspettassero qualcosa da noi.
Scendemmo di corsa, ma quella notte non riuscimmo a dormire.
— È solo la natura — disse mio marito. — La nostra casa è diventata il loro rifugio.
Io, invece, sentivo che non era così.

Col passare dei giorni, i suoni mutarono. Non erano più scricchiolii, ma sussurri.
Una sera, chiaramente, udii una voce:
— Non aver paura.
Veniva dalla soffitta.
Salimmo di nuovo. Questa volta, tutto era silenzioso. E allora lo vidi: un pipistrello immenso, nero come la notte, con due occhi rossi che brillavano nell’ombra. Non batteva le ali, ma fluttuava nell’aria, sospeso davanti a noi.
Mio marito cercò di fuggire, ma lo trattenni. Il pipistrello aprì le ali e un vento improvviso ci avvolse. Immagini si accavallarono nella mia mente: guerra, amore, nascita, morte. Era come vedere la memoria del mondo.
Quando riaprii gli occhi, ero stesa sul pavimento. Mio marito tremava accanto a me, e io… portavo dentro di me ricordi che non erano miei.
Nei giorni seguenti, iniziai a sognare volti sconosciuti, voci che sembravano reali. Mio marito parlava di stress, ma io sapevo che non era così.
Una notte tornai da sola nella soffitta. Il pipistrello nero mi aspettava.
Non mosse le ali, ma udii la sua voce dentro la mente:
— Ora sei la custode dei nostri ricordi. La tua vita non ti appartiene più.
Scendendo barcollai. Mio marito mi guardò e disse soltanto:
— Ora capisco. Ci hanno scelto.
Quella notte compresi la verità: la nostra casa non era più una semplice abitazione.
Era la soglia tra il passato e il futuro.
Le piccole creature rosa nel sottotetto non erano più soltanto animali — erano i custodi del destino.
E da allora, ogni volta che sento rumori provenire dall’alto, non ho più paura. So che raccontano storie che gli uomini non osano pronunciare.a